Bocciato il marchio della catena di ristoranti “La Mafia se sienta a la mesa”.

Il marchio “La Mafia se sienta a la mesa” contrario all’ordine pubblico e al buon costume.

Il Tribunale dell’Unione Europea con sentenza del 15 marzo 2018 ha respinto il ricorso della società spagnola La Mafia Franchises S.L. con cui la stessa chiedeva di annullare la decisione dell’EUIPO e di dichiarare valido il marchio “La Mafia se sienta a la mesa” [1].

I Fatti.

Nel 2007, la Honorable Hermandad S.L. (cui poi è succeduta “La Mafia Franchises S.L.”) ha registrato il marchio dell’Unione europea “La Mafia se sienta a la mesa” all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO).

Nel 2015 la Repubblica italiana ha depositato presso l’EUIPO una domanda[2] volta a far dichiarare la nullità di tale marchio in quanto contrario all’ordine pubblico e al buon costume, per i seguenti motivi:

  • La parola Mafia rinvia ad un’organizzazione criminale;
  • tale parola suscita sentimenti negativi;
  • ha l’effetto di manipolare l’immagine positiva della gastronomia italiana;
  • banalizza il senso negativo della parola.

Nel 2016, l’EUIPO ha accolto la domanda di dichiarazione di nullità della Repubblica italiana[3].

Il procedimento.

la Mafia Franchises S.L. ha presentato ricorso contro l’EUIPO (nella qualità di convenuto) e contro la Repubblica Italiana (nella qualità di controinteressata interveniente) per le seguenti motivazioni.

  • Innanzitutto, la ricorrente fa valere che né l’organizzazione conosciuta con il nome Mafia, né i suoi membri figurano nell’elenco di persone e di gruppi terroristici[4] relativo all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, alla quale le direttive d’esame dell’EUIPO fanno riferimento al fine di illustrare il divieto di registrazione dei marchi dell’Unione europea contrari all’ordine pubblico.
  • Poi, ha sostenuto che l’utilizzo della parola «mafia» non é di per sé sufficiente per concludere che il consumatore medio percepisca una volontà di promuovere o sostenere tale organizzazione criminale. Al contrario, gli altri elementi che compongono tale marchio possono essere interpretati come una forma di parodia o di riferimento ai film della saga “Il Padrino“.
  • Il marchio non ha un intento “offensivo, scioccante o violento” e non rinvierebbe ad un organizzazione criminale, ma ai film della saga del Padrino e ai valori della famiglia e del corporativismo.
  • Infine, la ricorrente si difende adducendo che molti marchi dell’Unione Europea e italiani contenenti la parola mafia sono stati regolarmente registrati.

La decisione.

In via preliminare il Tribunale osserva che i marchi contrari all’ordine pubblico e al buon costume sono dichiarati nulli[5]. La registrazione del marchio deve essere assolutamente impedita se é gravemente offensivo[6].

L’offensività del marchio deve essere valutata “sulla base di criteri di una persona ragionevole, di normale sensibilità e tolleranza“.

Inoltre, tale valutazione deve tenere conto non solo delle circostanze comuni a tutti gli Stati membri, ma anche le circostanze proprie di taluni Stati membri singolarmente considerati.

Infatti, ben può verificarsi l’evenienza che un segno sia percepibile come contrario all’ordine pubblico e al buon costume, non in tutti gli Stati, ma in uno solo, in considerazione delle particolari ragioni linguistiche, storiche, sociali e culturali.

Soffermandosi sull’elemento verbale “la mafia“, il Tribunale ha posto in evidenza come lo stesso fa riferimento ad un’organizzazione criminale con origine in Italia, ma la cui attività si è estesa all’interno dell’ Unione Europea. “Tale organizzazione criminale ha fatto ricorso all’intimidazione, alla violenza fisica e all’omicidio al fine di svolgere le sue attività, che comprendono segnatamente il traffico illecito di droghe, il traffico illecito di armi, il riciclaggio di denaro e la corruzione[7].

Tali attività sono contrarie ai valori su cui si fonda l’Unione, in particolare alla dignità umana e alla libertà, valori indivisibili che costituiscono il patrimonio spirituale e morale dell’Unione. La lotta alla mafia, con l’impiego di considerevoli energie e risorse, vede impegnata non solo la Repubblica italiana, ma anche l’Unione Europea.

Infine, il Tribunale ricorda che l’organizzazione criminale della mafia perpetra da molti decenni gravi attacchi alla sicurezza nazionale.

Per tale ragione, l’elemento verbale “la mafia” evoca il nome di un’organizzazione responsabile di gravi attacchi all’ordine pubblico.

Il fatto che l’intenzione sarebbe stata quella di evocare la saga cinematografica del padrino non ha nessuna incidenza sulla percezione negativa del marchio. Oltre al fatto che, in ogni caso, nessun elemento evoca direttamente detta saga.

Infine, il Tribunale osserva che l’espressione “se sienta a la mesa” (si siede a tavola), rimandando alla condivisione del pasto e quindi all’idea di convivialità e di svago, contribuisce alla banalizzazione delle attività illecite dell’organizzazione, trasmettendo un’idea positiva della stessa.

Conclusione:

Il Tribunale così si pronuncia: “Il marchio contestato è pertanto di natura tale da scioccare e offendere, non solo le vittime di detta organizzazione criminale e le loro famiglie, ma chiunque nel territorio dell’Unione si trovi di fronte detto marchio e abbia un normale grado di sensibilità e tolleranza.

 Di conseguenza, il Tribunale ha respinto il ricorso e condannato La Mafia Franchises S.L. alle spese.

Madrid, 18 marzo 2018

Avv. Claudio Purpura

 

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Riferimenti normativi e giurisprudenziali.

[1]  Tribunale dell’Unione Europea nella causa T1/17, sentenza del 15 marzo 2018.

[2] Il motivo di nullità si fonda sull’art. 7 par. 1 lett. F del Reg. n. 207/2009, (divenuto art. 7 par.1 lett.F del Reg. 2017/1001).

[3] Decisione dell’EUIPO del 27 ottobre 2016, procedimento R 803/2016-1.

[4] Allegato alla posizione comune 2001/931/PESC.

[5] Art. 7 par. 1 lett. F del Reg. n. 207/2009, in combinato disposto con l’art. 52, par. 1, lett. A.

[6] Sentenza del 5 ottobre 2011, PAKI Logistics/UAMI (PAKI), T‑526/09, non pubblicata, EU:T:2011:564, punto 12.

[7] Trib. dell’UE, causa T1/17, sent. del 15 marzo 2018, parr. 35.

 

 

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